Il carcere di Canton Mombello di Brescia potrebbe chiudere a breve: lo ha ipotizzato la Direttrice del penitenziario
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Il carcere di Canton Mombello di Brescia potrebbe chiudere a breve: lo ha ipotizzato la Direttrice del penitenziario  

19/12/2016 


«Canton Mombello potrebbe chiudere a breve». La provocazione della direttrice della casa circondariale di Brescia, Francesca Gioieni, è stata raccolta dalle delegazioni del Partito Radicale e delle Camera Penali di Brescia, in visita al carcere cittadino. «Lo sfogo ha origine dalla mancanza assoluta di contabili», ha spiegato Emiliano Silvestri, arrivato a Brescia con Marco del Ciello. Una difficoltà non da poco per la gestione delle struttura, nella quale risultano sotto organico figure fondamentali come gli educatori (in servizio se ne contano 3 su una pianta organica di 6) e gli agenti penitenziari (attivi 180 su 220).

Sotto esame la vivibilità di Canton Mombello. «È una struttura da 189 posti, si contano invece 303 presenze, con indici di sovraffollamento pari a 160,33»,ha spiegato ancora Silvestri. E conseguente è la riduzione degli spazi. Tutto sta nella differenza tra lordo e netto e nell’interpretazione delle direttive della Corte Europea per i Diritti dell’Uomo cui si è appellata la Cassazione nella recente sentenza a proposito dello spazio minimo vitale stabilito in 3 metri quadrati calpestabili a persona, al netto degli arredi (letti, armadi, tavoli, sedie). «A Canton Mombello nelle 150 celle, 172 detenuti hanno a disposizione, secondo il Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria, tra i tre e i quattro metri quadrati (lordi), 130 detenuti ne hanno a disposizione oltre quattro (sempre lordi)».

Area colloqui (con anche uno spazio per le visite dei figli dei detenuti e una postazione Skype), infermeria, cucine e biblioteca non hanno particolari problemi. Ma si tratta sempre di una struttura vetusta (del 1914), ma «siccome da tempo si ventila la chiusura del carcere, non si investe per la manutenzione». Secondo la portavoce delle Camere Penali, Stefania Amato «il lavoro (tra i primi strumenti di riabilitazione)rappresenta una delle note più dolenti. Non ci sono progetti per i quali, come accadeva fino a febbraio, all’interno del carcere siano attivate linee produttive da aziende esterne».

brescia.corriere.it