Essere madre oltre la pena: a Rebibbia una mostra fotografica sul rapporto delle detenute con i loro figli
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Essere madre oltre la pena: a Rebibbia una mostra fotografica sul rapporto delle detenute con i loro figli  

14/01/2020 


 
E’ stata inaugurata ieri, nella Casetta Koinè di Rebibbia la mostra "Essere madre oltre la pena", risultato finale di un laboratorio educativo, formativo ed emotivo, ideato e portato avanti per tre mesi dalla fotografa Natascia Aquilano e dall’educatrice Luciana Mascia, in collaborazione con l'associazione Onlus ProPositivi, appositamente dedicato alle madri detenute della sezione nido di Rebibbia e ai loro bambini. 
 “Il progetto - spiegano le organizzatrici - è nato dall’esigenza di non voler ignorare uno dei bisogni primari del bambino: il rapporto con la propria madre, che in una struttura penitenziaria viene inevitabilmente alterato. Attraverso il mezzo fotografico si è cercato di spostare il punto di vista dello spazio, passando da un luogo semplicemente condiviso da detenute e bambini, a un ambiente di incontro tra madri e figli, con l’obiettivo di comprendere l’importanza della relazione. Tra scatti liberi o a tema, ogni detenuta è riuscita a entrare maggiormente in contatto con se stessa e il proprio bimbo, acquisendo la consapevolezza dell’essere prima madre e poi reclusa”. 
La mostra comprende sia gli scatti realizzati e scelti dalle detenute, che le foto scattate durante il laboratorio dalla fotografa Natascia Aquilano, così da avere una doppia inquadratura sulla “nuova relazione”. 
Con delicatezza e determinazione, la mostra fotografica vuole invitare tutti a oltrepassare la cinta muraria e ad avvicinarsi a una realtà troppo spesso ignorata. Queste immagini non “spiegano” cosa avviene nella sezione nido del carcere di Rebibbia, ma sollecitano profonde riflessioni. “Un bambino è erede del contesto in cui nasce e cresce, non lo sceglie - chiariscono le curatrici - pertanto, ha il diritto di essere felice ovunque si trovi. Questo, nel caso specifico, succede solo se si cambia il modo di intendere e vivere la pena, che è non solo possibile, ma sempre più necessario”.